La sentenza n. 7/2024 mette fine ad ogni discussione circa la legittimità costituzionale del Jobs Act in materia di licenziamenti collettivi: le disposizioni principali (esclusione della reintegra e indennità risarcitoria) risultano legittime e, pertanto, la reintegra nel posto di lavoro sembrerebbe ormai un rimedio marginale.

Con la sentenza n. 7, depositata il 22 gennaio 2024, la Corte costituzionale, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 3, primo comma, e 10 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 norme che,  in attuazione della legge di delega n. 183 del 2014 (cosiddetto Jobs Act), hanno introdotto il concetto di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio.

Più in particolare, la vicenda in esame trae origine dall’iniziativa della Corte d’appello di Napoli che aveva adito la Corte Costituzionale censurando, in particolare, la disciplina dei licenziamenti collettivi quanto alle conseguenze della violazione dei criteri di scelta dei lavoratori in esubero.

Il Jobs Act, infatti, nell’ipotesi suddetta, prevede esclusivamente la tutela indennitaria e non più la tutela reintegratoria nel posto di lavoro, in simmetria con l’ipotesi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Posto che nella procedura di licenziamento collettivo possono coesistere rapporti di lavoro che, pur assoggettati alla medesima e simultanea analisi comparativa da estendersi all’intero complesso aziendale, sono caratterizzati da regimi sanzionatori disomogenei, la disciplina del Jobs Act integra una irragionevole tutela differenziata tra chi è stato assunto entro il 6 marzo 2015 e chi è stato contrattualizzato a partire dal giorno dopo, e comporta una “irragionevole disparità di tutela” estremamente penalizzante dato che, laddove il licenziamento avvenga violando i criteri di scelta (che sono quelli individuati in un eventuale accordo sindacale sottoscritto al termine della procedura o, in mancanza, nell’art. 5 della legge n. 223/1991, vale a dire: carichi di famiglia, anzianità ed esigenze tecniche, produttive ed organizzative), non viene garantito al lavoratore un adeguato ristoro del danno.

La Consulta, considerando anche i lavori parlamentari e la finalità complessivamente perseguita dal Jobs Act, riallacciandosi a precedenti decisioni afferma, invece, che la norma non contrasta con il principio di uguaglianza tra i cittadini, in quanto un trattamento differenziato applicato alla stessa fattispecie, in momenti diversi nel tempo, può trovare la propria legittimità in diverse situazioni giuridiche, in quanto, nei limiti di coerenza del sistema e della proporzionalità perseguita, è “possibile applicare un regime sanzionatorio diverso, ove tale diversificazione soddisfi un criterio di razionalità” che, comunque, si rinviene nella norma oggetto di esame.