Con la pubblicazione della sentenza del 17 febbraio 2020, n. 3888, la Corte di Cassazione ritorna sull’argomento della qualificazione del ramo d’azienda in un centro commerciale offrendo una interpretazione che, pur richiamando alcuni precedenti in merito, si pone certamente in maniera più restrittiva rispetto a quella giurisprudenza recente incline a definire il ramo d’azienda all’intero di un centro commerciale in senso meno “tradizionale” anche attraverso il ricorso ad elementi esterni allo stesso (quali, ad esempio, il diritto di usufruire di tutti i servizi offerti dal centro) e che di fatto ha legittimato l’utilizzo della formula contrattuale dell’affitto di ramo d’azienda nei centri commerciali.

La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi su una decisione della Corte di Appello di Bologna, la quale rigettava la richiesta avanzata da un retailer, di riqualificazione del contratto di affitto di ramo d’azienda in contratto di locazione ad uso commerciale, in relazione ad un punto vendita situato in un noto outlet dell’Emilia-Romagna.

Per inquadrare correttamente la fattispecie, occorre preliminarmente precisare che il ramo d’azienda consegnato dal concedente all’affittuario al momento della stipulazione del contratto era costituito da “un massetto di 2 cm, una toilette, un registratore di cassa e 4 rail per negozio”. In buona sostanza i locali ove il ramo d’azienda avrebbe dovuto insistere venivano consegnati al grezzo alla società affittuaria.

La Corte d’Appello di Bologna aveva ritenuto che tali beni costituissero un ramo d’azienda, essendo sufficiente a tal fine la sussistenza della potenziale attitudine produttiva dei beni costituenti il ramo d’azienda al momento del trasferimento, circostanza quest’ultima che veniva desunta sostanzialmente dal fatto che l’unità si trovava all’interno di un centro commerciale.

Ed infatti, la Corte d’Appello puntualizzava che, con il contratto d’affitto veniva concesso all’affittuario, oltre al godimento dell’unità e all’utilizzo delle attrezzature indicate nel contratto, anche il subingresso per affittanza nella in quota parte della licenza del centro commerciale per la vendita al dettaglio di prodotti non alimentari, il diritto di utilizzare il know-how a disposizione del centro e di beneficiare delle aree comuni e dei servizi della concedente. Tali elementi venivano ritenuti sufficienti per qualificare l’insieme dei beni oggetto della cessione quale ramo d’azienda.

Nel valutare le conclusioni cui era giunta la Corte d’Appello, la Cassazione parte invece da una diversa prospettazione di diritto, riferendosi ad alcuni precedenti fra i quali una sentenza delle Sezioni Unite (5087/2014) secondo cui si può parlare di azienda ogni qual volta la pluralità dei beni che la costituiscono sono organizzati dall’imprenditore per lo svolgimento della propria attività.

Più precisamente, con la sentenza 3888/2020 in esame la Suprema Corte afferma che, affinché si possa parlare di affitto di ramo d’azienda, l’oggetto della cessione deve essere rappresentato da un complesso di beni già organizzati unitariamente per l’esercizio dell’attività antecedentemente alla stipulazione del contratto di affitto.

Il requisito dell’organizzazione dei beni oggetto di cessione rappresenta, secondo la Suprema Corte, un elemento essenziale. Pertanto “non sembra compatibile con l’affitto la concessione in godimento di beni che sarà poi l’avente causa ad organizzare in vista dell’esercizio dell’impresa”.

Tale conclusione non esclude che si possa parlare di azienda anche qualora tali beni organizzati abbiano una produttività solamente potenziale. Secondo la Corte, il fatto che i beni che compongono l’azienda debbano essere organizzati, non implica necessariamente che debbano essere anche produttivi al momento della cessione. Ed infatti, il fine produttivo per il quale i beni sono organizzati può divenire attuale anche in un momento successivo alla cessione, ma deve comunque dipendere dalla organizzazione impressa ai medesimi dal cedente.

Qualora invece l’impresa sia iniziata dall’affittuario/retailer, o sia costui a dare per la prima volta una organizzazione ai beni cedutigli in godimento – come nel caso di specie- non si può parlare di affitto di azienda, ma di mera locazione. Quest’ultima, come noto, può essere costituita oltre che dal godimento dell’immobile, che assume una posizione centrale nell’economia del contratto, anche da ulteriori elementi, quali, ad esempio, l’utilizzo dell’area comune del centro commerciale, ovvero il godimento di alcune attrezzature (cd. locazione di immobile con pertinenze).

La Suprema Corte inoltre indica che, ai fini della valutazione dell’esistenza del ramo d’azienda oggetto di cessione, deve essere considerato anche l’avviamento, quale indice della preesistenza di un’impresa e, dunque, della organizzazione dei beni oggetto del contratto. Si rende dunque necessaria un’analisi caso per caso, in quanto – con riferimento al caso in esame – non si può presumere l’esistenza di un avviamento del ramo d’azienda (non riferibile al conduttore) per il solo fatto che esso è inserito all’interno di un centro commerciale.

In forza di tale ragionamento, la Suprema Corte ha cassato la sentenza della Corte d’Appello di Bologna, considerandola errata laddove ha ritenuto sussistere nel caso di specie un ramo d’azienda per il fatto che l’unità in questione si trovava all’interno di un centro commerciale, di modo che si potevano ritenere elementi fondanti la nozione di ramo di azienda non soltanto, il godimento dell’immobile con le relative attrezzature ma anche, il diritto di subingresso nella quota parte relativa all’esercizio della licenza, il diritto di utilizzare il know-how del centro, di ricevere i servizi e le utenze e di utilizzare e beneficiare delle aree comuni del centro.

Alla luce di questo recentissimo arresto giurisprudenziale, senza dubbio più rigoroso nella valutazione dell’azienda con riferimento alla specifica realtà dei centri commerciali e in attesa di vedere se ad esso verrà dato seguito anche in altre decisioni, è di primaria importanza sin da ora porre la massima attenzione nella redazione dei contratti di affitto di ramo d’azienda, attraverso cui affidare ai retailer spazi commerciali.

Al fine di ridurre il rischio di possibili riqualificazioni o contestazioni, è necessario infatti che nel contratto siano espressi, chiaramente e in maniera precisa, tutti gli elementi che compongono il ramo d’azienda, che ne sia precisata la correlazione e l’unitarietà già impressa dal cedente e riconosciuta dall’affittuario, oltre che la finalità produttiva anche se soltanto potenziale.