La crescente attenzione verso le tematiche ambientali spinge molte aziende a presentare i propri prodotti e servizi come sostenibili ed ecologici. Tuttavia, questa tendenza porta spesso a dichiarazioni che non rispecchiano la realtà. Qual è il rischio di esagerare o falsificare le proprie credenziali “green” per attrarre consumatori e migliorare l’immagine aziendale? Questo fenomeno è noto come greenwashing, una pratica ingannevole che può avere serie ripercussioni legali e danni alla reputazione.

Un recente caso di greenwashing è quello che ha coinvolto una importante società multinazionale operante nell’ambito della logistica anche sul mercato italiano che è stata sanzionata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) per pratiche commerciali scorrette. In particolare, le censure dell’Autorità hanno riguardato tre aspetti. Il primo è inerente alla promozione del  progetto “Climate Protect”. Secondo l’indagine dell’AGCM la società avrebbe presentato il progetto in questione come un programma di compensazione delle emissioni di CO2, attribuendosi un forte impegno ambientale senza fornire prove adeguate. La società avrebbe infatti diffuso dichiarazioni ambientali vaghe e non verificabili, che non specificavano chiaramente se il progetto prevedesse una reale riduzione delle emissioni o semplicemente la loro compensazione. Inoltre, i claims utilizzati sul sito internet lasciavano intendere che tutte le strutture della società fossero alimentate con energia verde e che l’intero parco veicoli della stessa fosse a zero emissioni. L’indagine ha messo in luce come in realtà questi obiettivi fossero stati raggiunti solo parzialmente al momento della loro promozione. Ciò che ha portato alla sanzione dell’AGCM non è stata quindi la diffusione di informazioni del tutto false ma la prospettazione di quelli che erano obiettivi da raggiungere come risultati già conseguiti.

In secondo luogo, l’indagine metteva in luce come uno specifico certificato che veniva pubblicizzato come inerente al compensazione di CO2 attestasse in realtà la conformità con il metodo per il calcolo e la dichiarazione del consumo di energia rispetto allo standard selezionato e non già il quantitativo di energia emesso né l’avvenuta compensazione. Inoltre, è emerso come i risultati ottenuti riguardassero complessivamente le emissioni di CO2 del gruppo europeo di appartenenza, non solo della società italiana, creando così una percezione distorta dei dati.

Infine, ciò che è stato rilevato dall’Autorità è l’imposizione ai clienti di un contributo economico per finanziare il progetto, senza una chiara ripartizione dei costi tra la società e i clienti stessi e senza un’informazione trasparente sulla possibilità di sottrarsi al contributo, con la conseguenza che la maggioranza dei clienti ha corrisposto il supplemento.

In conclusione, l’AGCM ha sanzionato la società, evidenziando come abbia tratto un vantaggio economico dall’iniziativa, scaricando i costi sui clienti senza sostenere direttamente gli oneri promessi. Inoltre, ha rilevato che la comunicazione commerciale prevedeva un impegno ambientale superiore a quello realmente dimostrato.

Questo caso dimostra che il greenwashing non è solo una questione etica, ma anche legale: una comunicazione scorretta sull’impegno ambientale può trasformarsi in un boomerang. Le aziende rischiano sanzioni, richieste di risarcimento e, soprattutto, gravi danni reputazionali che minano la fiducia di consumatori e stakeholder. Per questo, senza rinunciare a promuovere la sostenibilità – cruciale per la transizione ecologica e un vantaggio competitivo – è essenziale farlo con trasparenza, evitando affermazioni vaghe o ingannevoli.