La cronaca delle ultime settimane conferma la preoccupante espansione ed il radicamento, nella filiera dell’appalto, del “caporalato”, sistema di gestione illecita del personale, spesso non tracciato dall’imprenditore a capo della filiera anche se è il soggetto  che corre i rischi maggiori. E rivela come sia cambiato l’approccio al fenomeno da parte della magistratura e degli organi ispettivi.

Il caporalato è una “forma illegale di reclutamento e organizzazione della manodopera, attraverso intermediari che assumono, per conto dell’imprenditore e percependo una tangente, operai giornalieri, al di fuori dei normali canali di collocamento e senza rispettare le tariffe contrattuali sui minimi salariali” [cit.Treccani]. 

Oggi il fenomeno, da sempre tristemente collegato al settore ortofrutticolo ed edile, sembra essersi ormai diffuso, trasversalmente, a tutti i settori economici, produttivi e non.

Hanno, infatti, avuto vastissimo risalto mediatico i casi relativi a colossi imprenditoriali del settore della logistica e distribuzione, del settore alimentare e, da ultimo del settore della moda. Non solo per la notorietà dei soggetti coinvolti ma anche e soprattutto per le pesanti misure preventive e sanzionatorie, soprattutto di natura economica e patrimoniale, inflitte da magistratura e organi ispettivi.

Senza entrare nel merito del singolo caso, quello che emerge è il rigore dimostrato dalla magistratura nel far emergere sia fenomeni di esternalizzazione “fraudolenta” che le varie forme di somministrazione illecita, ricorrendo spesso a sistemi di indagine ad oggi “inusuali”.

Sembrerebbe, infatti, che le indagini partano spesso dall’esame delle visure camerali dei soggetti coinvolti nella filiera degli appalti e che ad attirare l’attenzione siano propri gli appaltatori  “produttivi” ma privi di dipendenti e di produzione propria che, inevitabilmente, devono sub-appaltare il lavoro ad altri.

L’indagine così avviata porta quasi sempre all’emergere di “serbatoi di manodopera” il cui unico obiettivo è reclutare e gestire lavoratori a basso costo e che versano in situazioni di difficoltà. Si tratta spesso di cooperative che fanno parte di circuiti specializzati, che nascono e muoiono secondo necessità fiscali ed i cui lavoratori migrano da un soggetto all’altro del circuito, senza tutele, e nell’esclusivo interesse di un appaltatore che beneficia di rapporti di lavoro subordinato a costo ridotto, ed esercitando un potere direttivo ed organizzativo incompatibile con l’appalto.

Una volta emerso l’illecito, tuttavia, il rischio per il committente è estremamente  rilevante: tralasciando gli aspetti connessi alla responsabilità penale (il caporalato è anche un reato presupposto, ex 231/2001) ed alle inevitabili ricadute fiscali, il committente rimane solidalmente responsabile per tutti i costi retributivi, contributivi ed assicurativi relativi ai lavoratori impiegati nell’appalto. Ed anche se il committente dimostra di essere estraneo alle condotte di appaltatore e subappaltatore, la responsabilità solidale nei confronti dei lavoratori permane, esponendolo a conseguenze economiche spesso disastrose. Il suggerimento, pertanto, non può che essere quello di condurre accurate indagini nei confronti dei propri appaltatori ed anche dell’apparato contrattuale utilizzato, avendo cura di inserirvi misure di verifica preventiva e rimedi economici adeguati.