Tra le polemiche nate intorno all’emergenza sanitaria molto accesa è sicuramente quella relativa agli strumenti giuridici utilizzati dal nostro paese per fronteggiarla: polemica di non poco conto se si pensa che in molti sono arrivati a sostenere che il c.d. “diritto emergenziale” ha, di fatto, generato una vera e propria rivoluzione nel tradizionale assetto delle fonti del diritto, come stabilito dalla Carta Costituzionale.

E’ innegabile che la copiosa produzione di norme registrata negli ultimi 3 mesi, resa possibile dal reiterato ricorso allo strumento del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (D.P.C.M.), abbia generato una progressiva erosione dei poteri che la legge attribuisce alle Regioni e agli Enti Locali in ambiti nei quali, tra l’altro, la Costituzione riconosce loro ampi spazi di autonomia, come per esempio quello della disciplina delle attività economiche e produttive.

Il potere esecutivo ha, sin dall’inizio (c.d. Fase 1), avuto un ruolo centrale nella gestione dell’emergenza, inaugurato con la dichiarazione dello stato di emergenzadeliberata dal Consiglio dei Ministri il 31 gennaio 2020, il cui principale effetto è stata l’attribuzione al Capo della Protezione Civile di poteri straordinari da esercitarsi tramite ordinanze.

La base giuridica per l’intervento regolatorio del Governo deve rinvenirsi negli atti aventi forza di legge, ossia i Decreti Legge, adottati dal Governo stesso, il primo dei quali è stato il D.L. 23 febbraio 2020, n. 6, con il quale sono state previste misure, anche particolarmente restrittive, volte a limitare diritti costituzionalmente garantiti (si pensi, ad esempio, al divieto di allontanamento o ingresso dal territorio comunale, alla chiusura delle attività commerciali). L’art. 3 del Decreto Legge ha previsto che dette misure “… sono adottate con uno o più DPCM”, ovvero atti amministrativi (tecnicamente dei Decreti) adottati dal Presidente del Consiglio dei Ministri.

Da qui, l’uso reiterato dello strumento dei D.P.C.M. (in tre mesi ne sono stati adottati ben 13) aventi ad oggetto le più varie misure, da quelle di carattere sanitario a quelle relative alla circolazione dei cittadini fino alle misure più strettamente economiche. Sebbene i D.P.C.M. siano stati tutti adottati sulla base di atti aventi forza di legge, il complesso di questi provvedimenti, arricchito dai decreti dei singoli Ministeri e dalle relative circolari ha, di fatto, ridisegnato il sistema delle fonti.

Le norme di rango primario hanno assunto il ruolo di “norme in bianco” delle leggi di rinvio alle norme di rango secondario, a cui è stata devoluta in termini sostanziali la disciplina di numerose materie.

La questione non è di poco conto, soprattutto se si pensa che tali norme, secondarie appunto, non assicurano le garanzie tipiche della legge (non sono soggette alla conversione da parte del Parlamento, sono sottratte sia al controllo del Presidente della Repubblica, in sede di promulgazione, sia al sindacato ex post della Corte Costituzionale). La questione diventa ancor più complessa se si considera che, almeno in una prima fase, tra le sanzioni comminate per il mancato rispetto delle prescrizioni imposte dai D.P.C.M. ve ne erano alcune di natura penale (materia per la quale la riserva di legge è stabilita a livello costituzionale).

Il sistema così introdotto, che ha segnato una progressiva espansione delle norme amministrative a discapito di quelle legislative, ha altresì influito sull’autonomia normativa riconosciuta alle Regioni, che sin dall’inizio dello scoppio della pandemia sono intervenute con proprie disposizioni in via d’urgenza, in base al potere riconosciuto loro dall’ordinamento. Infatti, l’art. 32della legge 23 dicembre 1978, n. 833 stabilisce che in materia di sanità e igiene pubblica i Presidenti delle Regioni possono adottare ordinanze contingibili e urgenti efficaci per tutto o parte del territorio di riferimento, competenza fatta espressamente salva dal D.L. 6/2020.

Purtroppo le misure adottate del Governo e quelle delle singole Regioni non sono risultate sempre coordinate, determinando l’insorgere di antinomie sfociate anche in conflitti istituzionali piuttosto accessi (si ricorderà lo scontro tra il Presidente della Regione Lombardia e il Presidente del Consiglio dei Ministri in merito alla prevalenza delle rispettive disposizioni tra loro contrastanti), tanto da spingere il Governo alla modifica del quadro di riferimento con l’adozione del Decreto Legge 25 marzo 2020, n. 19. Quest’ultimo ha stabilito che le Regioni possono adottare propri provvedimenti d’urgenza solo: se necessario e nelle more dell’adozione di nuovi D.P.C.M., destinanti quindi a prevalere; se giustificati da situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario registrato nel proprio territorio; per l’introduzione di misure maggiormente restrittive rispetto a quelle previste dal Governo.

Evidente quindi la limitazione ai poteri delle Regioni così prevista a livello statale senza, tra l’altro, che sia stata operata una modificata alla L. 833/1978 che tali poteri prevede e che costituisce norma di principio dell’ordinamento.

Tale disposizione ha comunque superato il vaglio del Giudice Amministrativo, che ha considerato illegittima l’ordinanza del Presidente della Regione Calabria che aveva disposto la ripresa delle attività di ristorazione anche con servizio a tavolo, in contrasto con le misure più restrittive contenute nel D.P.C.M. 26.04.2020. Il TAR, tra l’altro, non ha ravvisato la sussistenza di un conflitto di attribuzioni tra lo Stato e la Regione, ritenendo che i provvedimenti adottati dal Governo (il D.L. 19/2020 e relativi D.P.C.M.) si mantenessero comunque nell’alveo dei principi stabiliti dalla Costituzione.

Oltre che sul potere delle Regioni lo Stato è intervenuto anche sull’autonomia normativa dei Comuni, prevedendo all’art. 3 del D.L. 19/2020 che i Sindaci non possono adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza che siano in contrasto con le misure statali,con ciò derogando espressamente al disposto degli articoli 50 e 54 del Testo Unico degli Enti Locali (D.lgs. 267/2000), che costituisce anch’essa norma di principio dell’ordinamento e che attua il principio di autonomia degli Enti Locali sancito dalla Costituzione[1].

Con l’inizio della c.d. Fase 2 e l’allentamento delle misure di contenimento del contagio il quadro delle fonti e mutato nuovamente. Con il nuovo Decreto Legge 16 maggio 2020, n. 33, il Governo infatti, pur mantenendo fermo l’assetto precedente per quanto riguarda l’attuazione delle misure che continua ad avvenire mediante atti sostanzialmente amministrativi (D.P.C.M.), ha (ri)attribuito alle Regioni maggiore autonomia, con riferimento per esempio alla ripresa delle attività economiche e produttive, che potranno riaprire sulla base delle linee guida e dei protocolli di sicurezza deliberati in sede di Conferenza Unificata e che la singola Regione potrà ulteriormente modificare ed implementare. Resta comunque salva la facoltà per il Governo di adottare nuovamente misure limitative come avvenuto in precedenza, destinate a prevalere sulle disposizioni regionali.

In un arco temporale relativamente breve, quindi, l’ordinamento ha subito importanti modifiche quanto alle fonti di produzione del diritto.

Se da un punto di vista formale è possibile che tale assetto sia conforme alla Costituzione, fermo restando che è quanto mai difficile che la Corte Costituzionale venga chiamata a pronunciarsi in merito data la temporaneità delle modifiche introdotte, nella sostanza si è assistito all’espandersi della regolamentazione mediante atti di natura amministrativa adottati dal potere esecutivo, che è intervenuto in numerose materie e ambiti normalmente regolati dalle fonti primarie. Tale nuovo assetto è stato giustificato con l’esigenza di tutelare la salute pubblica, bene di sicuro rilievo costituzionale, così come lo sono anche l’autonomia delle Regioni, per esempio, o la libertà di esercizio delle attività economiche che sono state fortemente limitate dalle disposizioni emergenziali adottate, alcune delle quali ancora in vigore. I dubbi sulla legittimità del quadro normativo d’urgenza sorgono anche con riferimento al principio di sussidiarietà, anch’esso previsto a livello costituzionale, che avrebbe forse richiesto un maggior coinvolgimento delle Regioni sin dall’inizio nell’elaborazione delle misure di intervento, pur mantenendo una “regia” unitaria a livello statale, in ragione anche delle differenze territoriali registrate, per esempio, sull’evolversi dei contagi, invece che limitarlo nella fase successiva, altrettanto delicata, addirittura attribuendo loro il compito quasi esclusivo di adottare le misure per la ripresa, ad esempio, delle attività economiche.

I dubbi e le perplessità evidenziate dovrebbero far riflettere qualora fosse necessario intervenire nuovamente in situazioni simili che tutti, naturalmente, ci auguriamo non si presentino più ma che, purtroppo, non è possibile escludere avvengano.


[1]          La limitazione delle competenze Regionali e Comunali ha generato numerose controversie promosse davanti alla giustizia amministrativa. Oltre al giudizio promosso contro l’ordinanza della Regione Calabria si ricorda l’impugnazione da parte del Comune di Trapani del D.P.C.M. 26 aprile 2020 (T.A.R. Lazio, sez. I, 4 maggio 2020, n. 3569); il ricorso proposto dal Comune di Carovigno contro la Regione Puglia per l’annullamento della nota ASL prot. 25761 del 02/04/2020 (T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 27 aprile 2020, n. 231); il ricorso proposto da Cgil Lombardia, Uil Lombardia, Filt Cgil Lombardia contro l’ordinanza di Regione Lombardia dell’11.4.2020, n. 528 recante per oggetto “ulteriori misure per la prevenzione e gestione emergenze epidemiologiche da Covid” (T.A.R. Lombardia, sez. I, 23 aprile 2020, n. 634); i ricorsi proposti dal Codacons sia contro il D.P.C.M. del 10 aprile 2020, con cui si istituisce il comitato di esperti (T.A.R. Lazio, sez. I, 20 aprile 2020, n. 2915), sia contro il provvedimento della Protezione Civile del 27 marzo 2020 (T.A.R. Lazio, sez. I-quater, ord. 17 aprile 2020, n. 2835); il ricorso proposto dalla Federazione Nazionale delle Professioni Sanitarie e Sociosanitarie contro la Deliberazione della Giunta Regionale del Piemonte del 20.3.2020 n. 4-1141 che sancisce la sostituzione del personale nelle strutture sanitarie per anziani, disabili e minori (T.A.R. Piemonte, sez. I, 15 aprile 2020, n. 212); il parere del Consiglio di Stato sull’annullamento straordinario ex art. 138 d.lgs. 267/2000 esercitato dal Presidente del Consiglio dei Ministri nei confronti dell’ordinanza del Sindaco di Messina n. 105 del 5 aprile 2020 (Cons. Stato, 7 aprile 2020, n. 735).