Nel mondo della distribuzione selettiva, il confine tra tutela del brand e violazione del diritto della concorrenza è sempre più sottile.
Lo dimostra la recente apertura di un’istruttoria da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) nei confronti di un noto brand italiano di gioielli e orologi, deliberata nell’adunanza del 18 marzo 2025[1] e con scadenza prevista entro il 20 marzo 2026.
L’indagine parte da una segnalazione anonima ricevuta tramite la piattaforma di whistleblowing dell’Autorità. Secondo quanto emerso, il brand avrebbe imposto ai propri distributori un divieto esplicito di vendere i propri prodotti sui marketplace di terzi – mentre, lo stesso brand è attivo con un proprio virtual store su Amazon.it.
Marketplace vietati ai distributori, ma non al fornitore?
L’AGCM ha analizzato il contratto di distribuzione al dettaglio sottoscritto tra il brand e la rete di vendita: si tratta di un classico sistema di distribuzione selettiva, in cui il fornitore impone determinati standard qualitativi ai propri distributori – sia per i negozi fisici, sia per il commercio elettronico. Le vendite online sono consentite, ma solo attraverso il sito web diretto del distributore, escludendo ogni forma di presenza su piattaforme di terzi.
Il contratto prevede inoltre un divieto esplicito per i distributori “divieto di vendite tramite negozi e rivenditori sul web e piattaforme di terzi”.
Ed è proprio questo il punto su cui si concentra l’attenzione dell’AGCM.
Cosa dice il diritto UE: le “restrizioni fondamentali”
Il Regolamento UE 2022/720 sugli accordi verticali (e i relativi Orientamenti della Commissione) stabilisce che è vietata ogni restrizione che “impedisca l’uso efficace di Internet da parte dell’acquirente per vendere i beni oggetto del contratto in quanto tale pratica limita il territorio in cui o i clienti ai quali i beni o servizi oggetto del contratto possono essere venduti”.
Si tratta di una restrizione fondamentale, vietata a prescindere dalla quota di mercato detenuta dal fornitore e dall’acquirente e dunque di comportamenti comunque vietati, anche ove l’accordo verticale intercorra fra imprese che detengono quote di mercato inferiori al 30%.
Nel contesto della distribuzione selettiva, il paragrafo 338 degli Orientamenti della Commissione (che chiariscono innanzitutto (4.6.2) i criteri secondo i quali un sistema di distribuzione selettiva risulta conforme con l’art. 101 TFUE) è particolarmente chiaro: se il fornitore limita l’uso di un marketplace ma lo utilizza esso stesso per vendere gli stessi prodotti, è improbabile che tale clausola sia ritenuta proporzionata o giustificabile[2].
Dopo Coty, flessibilità sì, ma con limiti
È vero: la sentenza Coty del 2017 e il nuovo Regolamento europeo hanno introdotto un approccio più flessibile verso certe forme di controllo sulle vendite online. Tuttavia, la Commissione richiede comunque che ogni restrizione sia adeguata e proporzionata. Non basta cioè invocare la protezione del marchio: occorre dimostrare che il divieto risponde a esigenze concrete e non discriminatorie.
Cosa significa tutto questo per i brand?
L’istruttoria è ancora in corso e non è detto che sfoci in una sanzione. Ma il messaggio è chiaro: attenzione a come si scrivono (e si applicano) le clausole nei contratti di distribuzione, soprattutto se riguardano le vendite online.
Nel frattempo, ogni operatore dovrebbe rileggere con attenzione le condizioni contrattuali imposte alla propria rete di vendita, valutando se eventuali limitazioni al canale marketplace siano coerenti con i principi europei in materia di concorrenza.
[1] Provvedimento AGCM n. 31496, istruttoria I876 https://www.agcm.it/dotcmsCustom/getDominoAttach?urlStr=192.168.14.10:8080/41256297003874BD/0/C177EF34522258F6C1258C5E004CFC89/$File/p31496.pdf
[2] “nei casi in cui un fornitore (…) limita l’utilizzo di un mercato online, facendovi però ricorso per vendere i beni o servizi oggetto del contratto, è improbabile che le restrizioni relative all’uso di tali mercati online soddisfino i requisiti di adeguatezza e proporzionalità”.